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Questo libro è un’opera di fantasia. I nomi, i personaggi e gli eventi descritti sono il frutto dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone o animali realmente esistenti o esistiti è puramente casuale.

Titolo originale: Kamikatze. Ein Katz und Maus Krimi

© 2018 Emons Verlag GmbH

Tutti i diritti riservati

Prima edizione italiana: novembre 2019

Impaginazione: Rossella Di Palma

Illustrazioni: Lilla Varhelyi e Kerstin Fielstedde; istockphoto.com/Hibrida13; shutterstock.com/Emmeewhite. Elaborazione di César Satz & Grafik GmbH, Köln

Elaborazione ebook: CPI Books GmbH, Leck

ISBN 978-3-96041-579-4

Distribuito da Emons Italia S.r.l.

Viale della Piramide Cestia 1c

00153 Roma

www.emonsedizioni.it

KERSTIN FIELSTEDDE

00Gatto

LICENZA DI GRAFFIARE

Traduzione di Letizia Galletti

 

Quando calpesti gli occhiali a qualcuno,
ricordagli: non si vede bene che col cuore.

Antoine de Saint-Exupéry

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Personaggi

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INDY

La carismatica e bravissima agente dell’associazione segreta dei gatti KGB (Kombat Gatti Battaglieri), nonché sorella di Ian, possiede una sanissima autostima. Dal pelo multicolore, è maestra del camuffamento. Proviene da una buona famiglia. Per via della sua eterna allergia alle pulizie, il più delle volte ha un aspetto trasandato. Da indagini segrete risulta dispersa nei bassifondi.

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IAN

Il maine coon a striature rossicce soffre di una misteriosa malattia che gli provoca dei blackout. Ha un gran bisogno di riposare tra le mura di casa. Molto intelligente e dotato di autocontrollo. Ha uno spiccato senso della famiglia. È il più giovane degli iCats.

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MAXIM

Gatto albino delle foreste norvegesi perseguitato dalla sfortuna, con straordinarie competenze IT. È un gatto di strada, ma con vaste conoscenze, un cuore d’oro e la propensione a disavventure imbarazzanti.

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MOCCINO

È un gattino perennemente raffreddato creato nel laboratorio sperimentale. Sceglie la riluttante Indy come madre adottiva, e lei decide di addestrarlo per farlo diventare un agente junior. Ha ancora molto da imparare.

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HONEYBALL

Cane da salotto della razza papillon con una doppia vita. In privato è uno zar della moda, con un impero mondiale. Qui è in azione come agente sotto copertura della Cani Ispettori Addestrati, la CIA, con tanto di gadget high-tech e un’ottima rete di contatti. Conosce e stima Indy grazie alla collaborazione con il KGB.

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FOXTROT KILO

Passero poliglotta nato in Africa. Leggendario asso dell’aviazione e ricognitore per operazioni segrete. Lavora come agente di ricognizione aerea e cerca Indy per conto dell’anonimo capo Alfa della CIA.

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TREPUNTOUNO

Membro moderato dei combattenti guerriglieri guidati dal capo dei lombrichi Big Leader. Ex parte posteriore di Tre, attivista dei lombrichi, è diventato un’entità a sé stante dopo un fatale colpo di vanga a una posa della prima pietra. Riflette sull’essenziale e contribuisce validamente al successo della squadra.

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PROFESSOR SUMO

Peso massimo re dei bassifondi, con una spiccata propensione per la megalomania. Architettando un piano diabolico, la talpa mira a impadronirsi del potere governativo. Comanda un esercito di ratti e una security di barboni, ricorrendo alla più avanzata tecnologia, a una sorveglianza a 360 gradi e a metodi brutali.

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XPLODE

Ratto cercamine fisicamente e mentalmente compromesso. La guerra in Afghanistan l’ha reso un esperto in esplosivi. Si porta sulle spalle, come se fosse uno zaino, il fratello morto, suo maestro di vita. Disertore dell’armata di Sumo, guida la squadra degli iCats lungo i sotterranei, grazie alla sua eccellente conoscenza del luogo, indicando loro percorsi alternativi.

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KILLER KIDS

Cuccioli di ratto asociali che uccidono i nemici di Sumo come se fosse un gioco. Addestrati con PlayStation e Wii.

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FRATELLI SASHIMI

Fratelli barboni taglia grande – Bruce (nero) e Lee (bianco) – parzialmente tosati, fuggiti da cuccioli con la madre da un “allevamento tortura” polacco. Inselvatichiti nel Grunewald, scoperti da Sumo e condizionati da video di Bruce Lee, sono perfettamente addestrati in arti marziali. Una carriera lampo li ha portati a ricoprire l’incarico di capi della sicurezza di Sumo.

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SINGULTUS e COMATUS

Sono l’Oracolo dell’Est: pesci gemelli mutanti, con la capacità di annullare all’improvviso la separazione tra spazio e tempo. Vivono ai margini della società, in uno stagno di rifiuti tossici sull’autostrada, e predicono brutalmente il futuro a chi cerca consigli.

Organizzazioni

iCATS

Si riferisce ai fratelli maine coon, Indy e Ian, che provengono da una i-cucciolata. Similmente agli iRobot, gli iCats tengono presente la straordinaria prospettiva animale adottata nella serie. Non da ultimo, la “i” indica anche le nuove tecnologie informatiche (IT) che gli animali padroneggiano con zampe fatate. Durante le sue avventure, la squadra degli iCats è supportata da altri tipi strambi della catena alimentare. Benché avrebbero una gran voglia di mangiarsi l’un l’altro, sono professionisti che collaborano insieme eccellentemente, restando uniti.

KGB

Il Kombat Gatti Battaglieri si prefigge il nobile compito di smascherare scandali politici e crimini inspiegabili del mondo bipede.

CIA

Come ex unità cinofila della polizia, la Cani Ispettori Addestrati collabora a stretto contatto con i colleghi umani. Per questo è sempre molto ben informata. I bipedi e gli animali sono ininterrottamente in servizio per scongiurare in tempo gli attacchi nemici su larga scala.

FLOP

Fondo nazionale Lavori pubblici, Opere edilizie e Partecipazioni statali.

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A TERRA

“Togli quelle luride zampacce dalla mia coda!”

Indy era furiosa. In pochissimi secondi si ritrovò circondata da grossi ratti nell’ufficio del capo con vista sulla Sprea. La maine coon pezzata si mise subito in posizione d’attacco. Doveva stare attenta, il niveo pavimento di marmo era liscio come uno specchio. Era tutto molto elegante: vetro ovunque, opere d’arte moderna alle pareti e costosissime poltrone di design. A stonare era solo la scrivania in disordine. Dietro, una serie di piedistalli con sopra in bella mostra modellini architettonici illuminati da faretti.

Al Fondo nazionale Lavori pubblici, Opere edilizie e Partecipazioni statali, abbreviato con la sigla FLOP, tutto era perfetto.

I ratti si avvicinarono. L’agente gatta era distesa sul pavimento come su un piatto da portata. Aveva bisogno di una copertura alle spalle. I roditori più grossi si stavano già dando da fare e tentavano di inchiodarla per la coda. Indy soffiò, si voltò e cercò di addentarli. Il primo che provò a saltarle addosso divenne la sua preda ancor prima di sfiorarla. L’osso del collo le si ruppe in bocca come un ramoscello secco.

Così impara! Soddisfatta, scaraventò il cadavere contro la candida parete intonacata. Il suo istruttore di corpo a corpo del Kombat Gatti Battaglieri, il KGB, sarebbe stato fiero di lei.

Sfruttò l’attimo di spavento tra gli aggressori e, alzandosi su due zampe, saltò elegantemente sulla scrivania. Raccolse rapida le munizioni. C’erano diverse matite appena temperate. Ottimo. Scagliò con precisione i suoi giavellotti di legno sugli assalitori che intanto si stavano già arrampicando sulle gambe lisce della scrivania. Trafitti, caddero a terra trascinandosi dietro tutti quelli che li seguivano.

Nessuna pietà.

La carneficina fu atroce, con pesanti foratrici, dossier segreti, elastici e una tazza di caffè stantio. Da agente segreto senza scrupoli qual era, Indy avrebbe potuto trasformare in arma tutto quello che si ritrovava tra le zampe. Ma non poteva combattere su quattro fronti contemporaneamente.

Quando infine i roditori raggiunsero il ripiano, lei riprese a salire conquistando il piedistallo più vicino. Ora era visibile da tutte le parti, praticamente sotto i riflettori, in mezzo alle colonnine con sopra i modellini dell’aeroporto di BER. Dalla sua almeno aveva il vantaggio di una visuale a 360 gradi.

Dal condotto dell’aria non facevano che fuoriuscire ratti che la guardavano dal basso, furibondi. Un esercito. Il pavimento da bianco era diventato grigio topo. Alcuni tenevano tra le zampe qualcosa di simile a una cerbottana, ricavata dal tubetto vuoto di un pennarello. Sembravano ancora alle prime armi. L’agente del KGB non prestò loro attenzione, era troppo impegnata a tenere a bada gli aggressori più grossi. Con morsi decisi strappò via gli aerei attaccati alle piste di atterraggio e li usò come boomerang mortali.

Bam! E… finito! Il Boeing A380 di metallo era andato a segno. Bravo pilota. Ma non avrebbe potuto continuare così ancora per molto.

“Miahi!”

Maledizione, non era stata attenta. Qualcosa di appuntito l’aveva colpita al fianco. Ma a parte una pallina di carta umida, piena di piccole spine, non vide nulla. Sbuffò sprezzante. Una punturina alla gamba non era la fine del mondo. Roba da pivelli. In un attimo strappò via quel coso coi denti e con i suoi artigli affilati inchiodò saldamente al terminal B l’attentatore successivo, che si stava arrampicando sul suo piedistallo. Un bestione. “Osi forse...” sibilò lei e lo addentò.

O meglio, avrebbe voluto addentarlo. Strano. Il ratto era tenerissimo in bocca. Come ovatta. Non riusciva a chiudere bene la mandibola per spezzare il roditore tra i denti. Un filo di bava le colò dall’angolo della bocca. Forse la palla di spine non era poi così innocua.

La sua vittima si divincolò e attaccò. Evidentemente quello doveva essere il segnale per gli altri, che avevano aspettato nascosti sotto la scrivania e ora spingevano compatti verso l’alto. Sotto l’assalto serrato dell’esercito di ratti la colonnina di Indy cominciò a oscillare e si rovesciò.

Dang, dang, dang, dang. Le colonnine su cui erano sistemati i modellini caddero l’una addosso all’altra come tessere del domino, schiantandosi sul duro pavimento. All’ultimo momento Indy saltò giù, fece una capriola di judo e, barcollando, riuscì a risollevarsi sulle zampe. Che sfiga. Ora si trovava proprio in mezzo all’esercito nemico, indifesa.

Gli aggressori approfittarono subito del suo punto debole: il lungo pelo trasandato le fu fatale. I ratti le saltarono addosso e si aggrapparono alle ciocche arruffate. All’inizio solo alcuni. Poi sempre di più, tanto che le esili zampe della gatta riuscivano a malapena a sopportarne il peso.

Ma Indy non si sarebbe lasciata sopraffare. Non da quegli sporchi ratti! Con gli arti irrigiditi e l’atteggiamento fiero, se ne stava lì a testa alta, come un monumento felino. Le tremavano le zampe, vacillava sempre di più. Per non cadere, cercò un punto fisso: i miseri resti dell’aeroporto. Aveva trovato la causa del fallimento di quel progetto e dei problemi di tante altre grandi opere pubbliche, che avevano generato molti guai in Germania. Ma aveva commesso un errore: per un momento si era distratta. E i ratti avevano preso il sopravvento. Sarebbe riuscita a raccontare ciò che aveva scoperto?

Se non fosse tornata a casa, il suo fratellino si sarebbe senz’altro preoccupato. Chissà se aveva riconosciuto l’indizio nascosto? Ma certo che lo aveva riconosciuto! Ian era più scaltro di chiunque altro conoscesse, nonostante il suo problema. Con un velo di tristezza pensò all’handicap del fratello. Ian viveva come un gatto domestico, perché non si fidava più dei suoi simili, e aveva bisogno del suo aiuto. Cosa ne sarebbe stato di lui, se all’improvviso fosse scomparsa? Erano l’uno il sostegno dell’altra, una famiglia, l’unica che restasse loro.

Il solo pensiero la privò delle ultime forze che le rimanevano. Le sue zampe cedettero. Crollò come al ralenti. Il fatto che ora quei grigi necrofagi le camminassero addosso liberi e indisturbati la spaventava. Ma non poteva farci nulla. Aveva sopravvalutato la sua capacità offensiva e la sua intelligenza.

Impotente come Gulliver a Lilliput, giaceva sul freddo pavimento, atterrata e legata stretta dai ratti con i suoi stessi peli. Avrebbe voluto ribellarsi, ma non aveva più alcun controllo sui suoi arti.

Minuscole zampacce trascinarono il suo corpicino inerme sul marmo lucido in direzione dell’uscita. Altri ratti si sbarazzarono dei loro compagni caduti e ripulirono tutto febbrilmente. Le colonnine furono rimesse in piedi, i modellini incollati alla meno peggio e riposti dov’erano. Dei veri professionisti. In pochi minuti non sarebbe rimasta neanche una traccia della lotta che aveva avuto luogo.

I vincitori saltellarono perfidamente di fronte a lei, affilando minacciosi i lunghi incisivi gialli. Un’esibizione di forza davanti al nemico.

“Per te è la fine, bella mia,” le sussurrò all’orecchio il capo, appena sfuggito alla morte. “Tanti saluti dal professor Sumo. Non avresti dovuto metterti contro di lui, sciocca. Adesso non hai più scampo!”

“Andatevene!” li respinse lei priva di forze. Sembrava un sospiro. Qualcuno doveva aver spento la luce.

Buio pesto.

Scivolò nel nulla.

UN PAESE FANTASMA

Freddo. Ian scosse la criniera leonina biondo-rossiccia. Iniziava l’autunno a Berlino. Fuori dalla finestra un pallido crepuscolo, faceva già buio presto e le temperature erano calate. A poco a poco cominciò a preoccuparsi seriamente.

Maledì sua sorella in silenzio. Aveva già perlustrato tutta la casa, quello era l’ultimo posto che ancora non aveva controllato baffo per baffo. Se Indy non era nemmeno lì, non sapeva più cosa fare. Sarebbe stata la fine per lui.

Il maine coon voleva solo tornarsene a dormire. Stanco morto, strisciò quatto quatto sotto la scrivania di vetro del suo padrone. Alzò lo sguardo sul grande ufficio collegato all’appartamento. Il solito normalissimo caos ovunque, come sempre a quell’ora. Nessuno si prendeva la briga di mettere a posto il proprio disordine. I bipedi se n’erano andati molto di fretta. Era tutto abbandonato lì, un paese fantasma. In mezzo alla valanga di documenti tappezzati di post-it gialli c’erano enormi monitor. Sembravano freddi e privi di vita, ma sopra avevano delle minuscole telecamere. Spie luminose ne segnalavano lo stato di standby, pronte a riavviarsi al minimo movimento del mouse.

Ian si sentiva osservato e ritirò la testa tra le spalle. Potevano vederlo? Le conosceva quelle finestre sul bel mondo a colori con le loro promesse e tutte quelle magnifiche cose da comprare. Una più nuova, più bella e più fantastica dell’altra. Cose che alla fine non significavano niente. E intanto là dietro stava in agguato la memoria permanente, elettronica. Il sistema ricordava le tue preferenze, e poi vendeva la tua pelliccia a buon mercato alle aziende. Nel giro di poco tempo tutti sapevano chi eri e dove ti trovavi.

Il parquet logoro scricchiolò rumorosamente. Ian trasalì e si bloccò raggelato a metà movimento. Stava arrivando qualcuno? Rabbrividì. Fiutò a muso in su, aprì di poco la bocca e respirò profondamente con le sue cellule sensoriali ultrasviluppate.

Quell’odore! Un tanfo di vecchio stress umano e nuova tecnologia. Ma… c’era dell’altro. Qualcosa di brutto.

Ian era davvero troppo stanco e non riusciva più a concentrarsi. Era il momento di interrompere le ricerche. Girò un’ultima volta in tutte le direzioni le orecchie dai caratteristici ciuffetti da lince sulle punte, e dalle finestre chiuse sentì rumori attutiti di traffico. Un implacabile ticchettio ricordava, a volume quasi assordante, la caducità di tutti gli esseri viventi.

Tic. Tac. Tic. Tac.

Sull’alta parete imbiancata era appeso un moderno orologio a cucù col tetto ricoperto di piccoli megafoni. Tremendo. Chincaglieria da bipedi.

Pochi minuti alle sette e di Indy ancora nessuna traccia. Percepì dei rumori di fondo: il parco dei computer emanava calore. Erano stati in funzione tutto il giorno e li avevano appena spenti. Esausti, come lui. Continuò a guardarsi attorno irrequieto.

Là! Là c’era qualcosa! Proprio dietro il server sporgeva una zampa rigida. A Ian saltò il cuore in gola. Ecco cos’era quell’odore: puzza di morte! Non aveva nessuna voglia di avvicinarsi e guardare in faccia la realtà, ma aveva bisogno di sapere. Dunque si spinse più avanti strisciando silenziosamente. Scivolò piano piano verso il computer, come un’ombra. Lo tormentavano i peggiori timori. Il cuore gli batteva all’impazzata. Sbirciò dietro l’angolo e...

“Mauuuh!” Un sospirone gli fuoriuscì dalla gola. Con l’artiglio incise tre croci nel parquet. Era solo il giocattolo preferito di Indy, una zampa di lepre consumata, da cui non si separava mai. In realtà non si addiceva affatto a sua sorella, una tipa tosta, che si ostinava a ripetere che quella zampa logora portasse fortuna.

Uhm. Rifletté a fondo. Qualcosa non quadrava… come mai si trovava lì?

Alt! Malgrado la spossatezza, aveva i battiti troppo accelerati. “Respira con calma e lavati.” Il sacro mantra.

Cercò di rilassarsi. “Calmati.” Non poteva assolutamente permettersi di agitarsi ancora di più. Sapeva fin troppo bene come sarebbe andata a finire nelle sue condizioni.

Il gatto era malato, a pezzi. Doveva proprio interrompere le ricerche! Gli restava solo da controllare dove puntava la zampa, prima che finisse nelle mani della donna delle pulizie.

Si appostò dietro il portafortuna, rilevando la direzione che indicava.

Il cestino! Si avvicinò e, alzandosi sulle zampe posteriori, ci guardò dentro. Che sfiga. Era stato appena svuotato. Se c’era un messaggio, ormai era andato. Ma sua sorella era scaltra. Non avrebbe rischiato che venisse gettato via. “Rifletti, Sherlock!” si ordinò. L’immondizia era stata buttata, sì, però cosa restava? Ma certo, il cestino!

Ian strisciò intorno al secchio di plastica bianco scansionandolo da cima a fondo. All’improvviso un rimbombante squillo di fanfara squarciò il silenzio dell’ufficio.

“Cucù!”

Per lo spavento il maine coon saltò in aria con tutte e quattro le zampe finendo col sedere sul cestino, che si rovesciò rumorosamente. Il cuore gli martellava nel petto. Aveva dimenticato quel maledetto orologio! L’uccellino di plastica strillò “cucù” altre sei volte. Poi tacque. Ora perlomeno era del tutto sveglio.

Fu a quel punto che lo vide, sul fondo del secchio di plastica, intagliato nell’antichissima scrittura cuneiforme felina. Erano stati costretti a impararla, da buoni gattini di razza, su richiesta della loro severa mamma, che discendeva da una nobile famiglia canadese dal pedigree impressionante. Lei ci aveva tenuto molto alla formazione classica dei suoi cuccioli, e loro quanto si erano lamentati per aver dovuto imparare quella robaccia antica, polverosa! Ormai era una scrittura strasuperata, nessun gatto moderno ne aveva bisogno e nessuno la padroneggiava più. Eccetto gli anziani eruditi. E loro, ovviamente.

Ian rispolverò a fatica le sue conoscenze arrugginite e decifrò i simboli. Gli si chiudevano gli occhi dal sonno, continuamente, ma con uno sforzo sovrafelino li spalancava di nuovo.

Diceva…

Diceva…

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Si arrese. Le linee gli si confusero davanti agli occhi e cadde in un pozzo nero. Come in un sogno fluttuò attraverso un tunnel buio, udendo in lontananza il ringhio rabbioso di sua sorella: “Lasciami andare, maledetta feccia, non ci vado lì dentro!”

Soffi furiosi e lontani rumori di lotta.

Poi calò il silenzio.

Non sapeva dove si trovava. Girovagò a lungo, all’infinito. Non vedeva nulla, senza la voce di sua sorella si sentiva strano e solo. Il freddo gli si insinuò nelle ossa. C’era puzza di… medicine. Un odore sgradevole di prodotti chimici pesanti e sangue gli irritò le narici e, come se non bastasse, qualcosa di grosso, cattivo, completamente bianco gli si avvicinò con aria minacciosa. Scalciò selvaggiamente con le zampe, per difendersi. Voleva andarsene! Nient’altro!

Lottò tenacemente per rinvenire, tirando zampate, ma ebbe difficoltà a raccapezzarsi. Era ancora disteso sulle vecchie assi di quercia accanto al cestino rovesciato. Nel frattempo era sorta l’alba, erano trascorse ore. Un lunghissimo blackout. Di nuovo! Capitava troppo spesso ultimamente. Dall’inizio del mese si era già perso diversi giorni. In principio si trattava di brevi fasi di fuorigioco, lunghe al massimo dieci minuti.

Come al solito non ricordava il momento in cui era svenuto. Guardò il messaggio di Indy. Non bastava la scrittura cuneiforme felina, c’era anche un codice. Roba da KGB. La memoria fotografica di Ian salvò automaticamente la sequenza di lettere. Ne avrebbe decifrato il significato non appena fosse tornato lucido.

Si sollevò sulla punta delle zampe e guardò il sole sorgere sopra i tetti di Berlino. Rombi luminosi dai contorni definiti penetrarono attraverso i vetri delle finestre a crociera, conquistando lentamente la stanza. Durante la notte la temperatura si era alzata, era quasi eccessiva per quella stagione. Granellini di polvere scintillavano nell’aria come paillette d’oro, facendolo starnutire. Con una zampa si soffiò il naso. Fuori cinguettavano i primi uccelli. Una madre bipede snervata rimproverava la sua prole urlante.

Ian si ricompose. Non aveva più tempo da perdere. Esaminò freddamente la situazione: l’orologio biologico gli diceva che erano trascorse più di ventotto ore da quando si era accorto della scomparsa di Indy. Dovette dunque supporre che le fosse accaduto qualcosa. Altrimenti si sarebbe fatta viva. Lo faceva persino quando era via in missione segreta. Perché, con tutto il suo spirito di avventura, sua sorella comunque era estremamente affidabile. Era stata di sicuro trattenuta da qualche parte. Questo significava che doveva uscire a cercarla. Fuori, in città. Malgrado si fosse ripromesso di non metterci mai più zampa. Là fuori lo avrebbero schernito, c’erano felini in semilibertà pronti a deriderlo per il suo problema. Lo avrebbero mandato in bestia nonostante tutto il suo autocontrollo e, in fondo, non poteva nemmeno biasimarli.

Andiamo, chi voleva abbindolare? Da bravo gatto da appartamento di razza pura, malgrado la sua prestanza, non era adatto alla strada. E anche se si manteneva in perfetta forma, allenandosi ogni giorno con il clicker, la pancetta flaccida c’era.

Okay, era scaltro. Possedeva una ragguardevole capacità analitica associativa. Quando voleva prenderlo in giro Indy lo chiamava “Sherlock”, e non senza ragione. Fin da gattino, voleva sempre sapere tutto alla perfezione. Ma ormai le indagini non erano più il suo forte.

A meno che... Pensò al kit di prima necessità, rifornito di pastiglie vitaminiche, farmaci e sali da annusare. Una precauzione sensata quando andava in terrazza sul tetto.

Forse poteva funzionare, con l’aiuto di un equipaggiamento completo e di un compagno in gamba. Almeno per un po’. Non aveva amici, però, a parte sua sorella. Indy, invece, sì che ne aveva. I suoi innumerevoli ammiratori la trovavano irresistibilmente attraente. Sebbene non si curasse un granché, possedeva un meraviglioso fascino selvaggio. Col suo sguardo intenso suscitava timore in molti bipedi e languore in parecchi gatti. Ian passò in rassegna gli spasimanti, a uno a uno. Ed ecco che arrivò alla soluzione: Maxim!

Primo, l’atletico norvegese era un colosso persino più forte di lui. Quindi, in caso di emergenza, avrebbe potuto sostenerlo. Secondo, quel gatto era follemente innamorato di Indy, da anni. E terzo, a Berlino era considerato l’Assange della scena felina. Quando si trattava di ricerche su internet, non lo batteva nessuno.

L’albino poteva sicuramente aiutarlo a cercare sua sorella. Tuttavia si mormorava che il suo pelo bianco attirasse la sfiga come la pece e lo zolfo attirano il diavolo…

UN GRANDE FAN

Quanto più Ian ci rifletteva, tanto più ovvia gli pareva la sua scelta. I gatti delle foreste norvegesi erano i felini domestici più grandi del mondo. Superavano anche quelli della sua razza, i maine coon. E benché, con tutte quelle cicatrici, l’esperto di risse di strada sembrasse estremamente pericoloso e amasse fare il duro, Ian sapeva che Maxim aveva il cuore tenero. Doveva solo trovare il modo di coinvolgere quel tipo burbero. Se il fiuto non lo ingannava, sarebbe bastata un’unica parolina magica: Indy.

Si infilò il kit di prima necessità zeppo fino all’orlo, fece leva con la zampa per aprire la pesante porta scorrevole del balcone e, passando a fatica attraverso la ringhiera, arrivò alla tettoia dei posti auto. Due metri e mezzo e si sarebbe ritrovato sul tetto. Poteva farcela. Poi un salto sui bidoni dell’immondizia e giù in strada.

L’acciottolato era umido al tatto e al sole fumava leggermente. Doveva aver piovuto durante la notte. Sembrava tutto pulito e nuovo, e le strade e i marciapiedi davanti a lui erano deserti.

Eccolo dunque tornato nel suo habitat naturale. Non si sentiva poi così male, anzi. Un poco confuso, percepì subito diverse dozzine di odori contemporaneamente. Dopo essere stato tanto tempo tappato in casa, doveva anzitutto riallenare i suoi sensi. Trotterellò con cautela.

Correndo, il kit di prima necessità sfregava leggermente contro l’ascella. Non importava. Continuò a correre. Il suo pelo rosso a striature crema brillava come bronzo al sole. Era una tigre. D’accordo, una tigre domestica. Ma dominava su tutta la strada. Procedeva con audacia e, dimenticando tutte le inibizioni, accelerò. Corse a più non posso. Il vento gli soffiava sul muso. L’asfalto volava via sotto le sue zampe. Si sentì libero e leggero come non mai. Come un miraggio felino, una sorta di Fata Morgana dei gatti, all’improvviso gli comparve di fronte il territorio del norvegese: Kreuzberg.

Maxim non passava certo inosservato e il suo odore era dappertutto.

Il suo pelo bianco risplendeva pulitissimo al sole, mentre stava marcando un quadro elettrico. Ian rallentò in un trotto leggero. Incerto, si chiese quale potesse essere il modo migliore per formulare la sua richiesta. Dal loro ultimo incontro era passata una marea di tempo, allora era più giovane e ancora in salute.

Alla fine provò semplicemente con quello che riteneva il linguaggio di strada: “Ehi, Mastro Lindo.”

Maxim si fermò.

Ian mostrò i denti, sogghignando. “Il tuo padrone continua a considerarti una femminuccia?”

Ahi, aveva toccato un tasto dolente. Il biancone era stato castrato prima di essere affidato al suo padrone e da allora questi aveva continuato a crederlo, per quanto brutto fosse, una femmina. Con grande disappunto del gatto macho.

L’enorme norvegese si lasciò sfuggire un sommesso ma rancoroso brontolio. Sembrava una iena in procinto di azzannare. “E tu chi sei? Direi che hai bisogno di dare un’aggiustatina al look, zampa di peluche. Sei capitato nel posto giusto, fatti avanti che ti sistemo io!” Alzò la zampa con aria minacciosa e inarcò la schiena, sembrando così ancora più grosso.

Ian si rese conto di aver usato il tono sbagliato. Tornò docilmente sui suoi passi. “Scusa, scusa. Mi è uscita così. Sono io, Ian, il fratello di Indy.”

“Il piccolo Ian, ma che dici!” Non appena sentì pronunciare il nome di Indy, Maxim abbassò la zampa. “Non capiti spesso in giro da queste parti, o sbaglio? Conciato così stentavo a riconoscerti. È già carnevale?” Maxim squadrò con interesse il kit a fantasia militare di Ian.

“È l’ultima moda.” Ian non voleva svelargli subito il motivo che lo aveva spinto lì. “Fa tendenza.”

“Ma pensa.” Il norvegese lo guardò perplesso. “Insomma, di’ un po’… come se la passa tua sorella?” chiese, buttandola lì.

“È proprio per questo che sono qui. Credo non molto bene. È scomparsa. Normalmente si sarebbe fatta viva già da tempo. Invece mi ha lasciato un indizio enigmatico, in codice. Ho bisogno del tuo aiuto.”

L’interesse del biancone si riaccese all’istante. “Indy è nei guai? Che ci facciamo ancora qui impalati? Seguimi, andiamo da me. Non dobbiamo discuterne per strada. A casa potremo ragionare in santa pace.” Con la coda allungata all’insù, si girò sulle zampe e partì di corsa, lasciando a Ian il compito di stargli dietro.

Giunti all’ingresso assai malandato di un cortile interno, Maxim salì svelto su per le scale ripide fino al terzo piano. Ian gli ansimava alle spalle; una volta in cima si sedette accanto a una pila di pacchi, tenendosi il fianco. Doveva assolutamente potenziare il suo addestramento col clicker.

Maxim ghignò. “Aspetta qui, devo spegnere l’allarme.” Scomparve attraverso una gattaiola regolata da un chip. Poco dopo la vecchia porta di legno si aprì dall’interno, scricchiolando. “Scusa, ma il mio padroncino è un programmatore ed è anche un tantino nevrotico, visto che è stato sfrattato due volte come abusivo.”

Ian guardò con diffidenza la tecnologia di sorveglianza all’entrata. Ultimissima generazione di telecamere con ottimizzazione della visione notturna.

L’albino notò il suo sguardo e abbozzò un sorrisetto. “Non meravigliarti, il mio padrone investe in tecnologia ogni centesimo che non ha. Per questo prende i mobili dalla strada. I migliori rifiuti ingombranti, come puoi vedere.”

In effetti. Ian constatò che l’arredamento era costituito da una selvaggia accozzaglia di stili, l’effetto però era molto accogliente. Si stava bene lì: tutto il legno e la tappezzeria erano stati accuratamente marcati e graffiati da Maxim. Tazzone di caffè lasciate a metà, di forme diverse, erano disseminate ovunque. Portacenere con scritte pubblicitarie, rubati nelle birrerie e pieni di cicche di sigarette fatte a mano, sembravano orbitare intorno a loro come satelliti attorno al sole. A completare la bella natura morta, le sorprese degli ovetti Kinder, per un collezionista forse interessantissime, per un comune mortale un ammasso di rifiuti di plastica.

Le pareti erano tappezzate di locandine di film. Poster spiegazzati di Star Trek testimoniavano il bisogno di esplorare e il fascino per le civiltà straniere. Quel tipo doveva essere un patito della serie, un trekkie. Ian dette una breve occhiata alla cucina, che brillava per le bottiglie di Coca-Cola mezze vuote accanto a pile di piatti accatastati disordinatamente l’uno sull’altro, con scarti di cibo secchi e appiccicati, e torri di cartoni della pizza unti. Sparpagliati ovunque sul pavimento tanti bei giocattolini per il norvegese.

“Il paradiso in terra,” commentò Ian stupito. “Qui non c’è pericolo di annoiarsi.”

“Già, e questo è solo l’inizio. Le cose veramente eccitanti le trovi sul mio tab.”

“Hai un tablet tutto tuo?”

“Certo, ne abbiamo quattro. Da buon sviluppatore di app, il mio padrone è sempre aggiornatissimo. Il suo ha addirittura il riconoscimento vocale.”

Ian ne fu a malincuore impressionato. “Niente male. Te ne intendi?”

“Certo, se vuoi sapere qualcosa, non hai che da chiedere. Scoprirò quello che ti serve in quattro e quattr’otto.”

Ian indugiava. “Ti dico il codice che ha lasciato Indy. Ma tu non devi parlarne con nessuno! Capito?”

“Certo, vai.” Maxim corse al suo tablet, lo attivò appoggiandoci la zampa e digitò una password. “Allora? Cosa dobbiamo cercare?”

Ian gli sillabò la formula.

PR OF SB HH KS?

“Riesci a capirci qualcosa?”

“Vediamo. Sembra facile. Ma è proprio per questo che è difficile da decifrare.” Maxim batteva velocissimo sulla tastiera. “Potrebbero essere abbreviazioni di qualunque cosa. PR potrebbe stare per Pubbliche Relazioni, seguito da OF, il termine inglese che sta per ‘di’. Oppure OF è banalmente la sigla di ‘Offenbach’.”

Ian non ebbe bisogno di rifletterci troppo. “HH sta per Hansestadt Hamburg, la targa della città anseatica di Amburgo, non ci piove.”

“Giusto,” attaccò Maxim. “Allora di conseguenza SB e KS stanno per Saarbrücken e Kassel.”

“Oppure Stoccarda, Berlino e Colonia,” dissentì Ian. “Mia sorella ha fatto la codifica a due a due. Questo però non significa per forza che le lettere siano davvero appaiate.” Ian agitò smaniosamente la lunga coda, benché per il resto sembrasse tranquillo. “Tuttavia, se così fosse, a Stoccarda, Berlino e Colonia allora seguirebbe ancora una volta Stoccarda e mi sembra davvero improbabile. Tanto più che il punto interrogativo così resterebbe inspiegato. Deve esserci un’altra soluzione.”

Maxim annuì. “Sto cercando degli indizi per capire se le città sono in rapporto l’una con l’altra, e come.”

Fece delle indagini sul tablet e trovò subito quello che stava cercando: “Evvaiiiiiii, bingo! Eccome se ci sono comunanze. Sta’ a sentire! ‘La sicurezza è solo un ricordo. Decuplicati i costi per la costruzione della Elbphilharmonie di Amburgo. La giustizia indaga sull’attiva partecipazione dei politici.’ E senti qui: ‘Il Fondo nazionale Lavori pubblici, Opere edilizie e Partecipazioni statali getta milioni al vento, o meglio, nella sabbia. Nuovo blocco edilizio per il catastrofico progetto dell’aeroporto di Berlino-Brandeburgo.’ E qui: ‘Scandalo nel progetto di costruzione Stoccarda 21. Cittadini infuriati pretendono trasparenza dal governo. Spese a non finire. I contribuenti investono in un buco nero’.”

Il gatto passò la zampa sul tablet, scorrendo altre pagine. “Per quanto riguarda Offenbach, Saarbrücken e Kassel non c’è quasi nulla in tal senso. Qua però dice: ‘Crollo della metropolitana di Colonia. Caos infinito nel chiarimento dell’incidente all’archivio comunale. Il duomo sarà la prossima trappola? Sabbia negli ingranaggi dei costruttori. I politici si stanno scavando la fossa da soli’.”

Con perspicacia, Ian mise insieme tutti i pezzi. “Maxim, sono tutti rapporti di progetti edilizi falliti del governo. Cosa c’entra questo con la scomparsa di Indy? E cosa ha a che fare tutto ciò con le Pubbliche Relazioni? Oppure PR sta per qualcos’altro? Tutto quello che so è che Indy era sulle tracce di una faccenda gigantesca. Dopo aver acciuffato un ratto, mia sorella era tutta gasata. Ha farfugliato qualcosa riguardo a scandali governativi, droghe e agenti scomparsi. Uno si chiamava Bondy o qualcosa del genere. Indy però non mi ha raccontato la vicenda nel dettaglio. A quanto pare era tutto top secret. La risposta potrebbe essere nascosta nella prima parte dell’enigma.”

Con il suo artiglio anteriore Ian incise distrattamente le prime lettere del codice sul sudicio pavimento di legno.

PR OF S

Di colpo ebbe un lampo di genio. Certo, era quella la soluzione: una vecchia conoscenza era tornata alla ribalta!

VISIONI NELLA SPAZZATURA

“Maxim, ci sono: PROF è l’abbreviazione di professore e io ne conosco solo uno che inizia per ‘s’. Indy stava addosso al professor Sumo, il re dei bassifondi, il criminale più ricercato della Germania.”

“Tipico! La ragazza non si occupa mai di cosette da niente.” La punta d’ammirazione nella voce di Maxim diceva tutto. “Al KGB interessano solo gli incarichi più pericolosi, quelli per cui altri se ne vanno con la coda fra le zampe. Ma stavolta hanno proprio esagerato.” Rifletté un attimo e poi scrutò Ian. “Vuoi andare da Sumo?”

Ian annuì riluttante. “Non ho scelta. E tu verrai con me. Ho bisogno di te.”

Maxim ci pensò un attimo grattandosi l’orecchio con la zampa posteriore. “Prima di un viaggio così infernale devo consultare l’oracolo. Ti posso aiutare solo se ci dà il via libera.”

Ian strinse i denti. Quel gattone dall’aria pericolosa era superstizioso fino alla punta dei baffi. Ma appellarsi alla ragione non sarebbe stato di grande aiuto, se voleva convincerlo a collaborare. Avendo bisogno di Maxim, doveva accettare le sue fisime volente o nolente. “Che proponi?” chiese cauto.

“Conosci Singultus e Comatus, i pesci gemelli siamesi?”

“Intendi l’Oracolo dell’Est?” si ricordò Ian.

I fratelli pesci vivevano nello stagno di un’isolata area di servizio autostradale. Era là che teppisti di passaggio smaltivano i loro rifiuti e la peggiore robaccia. Sostanze pericolose rendevano l’acqua cangiante, con sfumature di tutti i colori dell’iride. Ecco spiegato anche lo stato dei due gemelli, che erano cresciuti attaccati, con un’unica pancia e tre occhi in tutto.

Singultus soffriva da una vita di un brutto singhiozzo cronico. E la cosa era talmente invalidante che il pesce, che aveva un occhio solo, perdeva spesso i sensi, essendo il più debole della coppia. La curiosità di Comatus, poi, non era d’aiuto: divorava praticamente tutto ciò che era abbastanza invitante da promettere un momento di piacere. Con grande disappunto del fratello, che poi doveva trascinarsi appresso la sua dolce e malconcia metà.

Un particolare effetto collaterale della vita malsana era la loro sincronizzazione con l’universo. Nei momenti di lucidità vedevano passato, presente e futuro come un tutt’uno. Questo li rendeva dei visionari indispensabili per molte persone in cerca di consigli.

Per contenere l’afflusso dei richiedenti, tuttavia, la coppia ricorreva a maniere assai brutali. Non era raro sentir volare insulti tremendi e vedere i gemelli sputare addosso a quelli che ponevano la domanda sbagliata. Ma loro dovevano provarci. Per Indy valeva senz’altro la pena correre il rischio.

“Se per te è importante, andiamo.” Ian aveva preso la sua decisione. “Ascolteremo la profezia dell’oracolo. Adesso. La nostra missione non ammette proroghe.”

Maxim lo guardò con un misto di sorpresa e rispetto. “Oooookay. Tu che dici? DHL o UPS?”

Ian guardò l’albino senza comprendere.

Maxim rise. “Vedi il mucchio di pacchi là sul pianerottolo?” Ian guardò verso la porta d’ingresso. “Quello è il nostro mezzo di trasporto?” domandò incredulo.

“Eeeeeesattooooooo. Il mio caro padroncino, l’apriscatole di cibo per gatti, ordina continuamente dispositivi elettronici su internet e poi ne restituisce la metà. Gratis, si capisce. Quel che faremo noi è semplicemente cambiare l’etichetta dell’indirizzo di un pacchetto. E zacchete, il corriere ci porterà dritti dritti da Singultus e Comatus.”

“Vuoi dire che noi due staremo rinchiusi insieme in una scatola minuscola?” domandò Ian attonito. “Tu e io?”

Maxim lo squadrò strizzando l’occhio. “Hai forse un’idea migliore?”

“Andare a piedi,” replicò lui.

“Sei pazzo! Sono oltre settanta chilometri tra andata e ritorno. Ci vuole troppo tempo. Pensa a tua sorella.”

“Hai ragione,” ammise Ian. “Allora prendiamo il corriere.” Indicò la pila di pacchi sul pianerottolo. “Spedizioni espresse!” Sbirciò fuori dalla gattaiola trasparente. “Stando a quel che dice qua, il ritiro è tra un quarto d’ora.”

Maxim annuì, aprì la porta e spinse dentro il pacco. “Il mio apriscatole andrà su tutte le furie. Questa è una consegna al cliente su appuntamento. Sistema di sicurezza preconfigurato. Darà di matto se la roba non arriva in tempo.” Si stiracchiò. “Fa lo stesso, cosa non si fa per il gentil sesso.”

Il gatto bianco stampò l’etichetta col nuovo indirizzo, mentre Ian con l’artiglio recideva con precisione chirurgica il nastro adesivo sullo spigolo laterale del pacco. Trascinò il pesante contenuto del cartone in un angolo del pianerottolo colmo di rifiuti. Insieme spinsero il pacco vuoto davanti alla porta di casa.

Da felino esperto, Maxim incollò la nuova etichetta sul vecchio indirizzo. “Chiudi gli occhi e fila dentro,” ordinò. “Prendo solo il mio portafortuna al volo.”

Ritornò con una catenina al collo. C’erano appesi una piastrina di riconoscimento, una chiavetta USB con su scritto “Supertalent” e una conchiglia ad ala d’angelo placcata in argento. Tintinnando, il gigante si infilò a fatica nella scatola, appiccicatissimo a Ian e schiacciandogli per bene la coda. Il maine coon sopportò in silenzio, cercando di sistemarsi alla meglio in quello spazio ristretto e soffocante. Perlomeno c’era un gradevolissimo odore di cartone. Annusò la parete: la migliore onda B con rivestimento Kraftliner su entrambi i lati. Il sogno di ogni gatto. Solo che avrebbe tanto voluto lo scatolone tutto per sé.

Si sentì uno scampanellio in diversi appartamenti, seguito da un lungo ronzio. Un vicino aveva attivato l’apriporta. Di sotto, il portone si aprì. Il corriere entrò sbraitando e gridò il nome della sua ditta per la tromba delle scale. Non ricevendo risposta, si trascinò al terzo piano, borbottando. I gradini di legno scricchiolarono sotto il suo peso.

L’uomo, a quanto pare bello pienotto, si fermò un attimo col fiatone alla porta dell’appartamento, prima di suonare il campanello. Ian e Maxim non fiatarono. Quando nessuno aprì, il corriere imprecò, ma non si allontanò. Quindi guardò il pacchetto e lesse l’etichetta adesiva.

Si sentì un “bip” quando scansionò la spedizione col lettore. Poi sollevò a fatica il carico piuttosto pesante e lo portò giù per le scale. Lanciò bruscamente il cartone nell’auto di servizio, lasciata in seconda fila col motore acceso, e infine dette una bella sgommata.

All’inizio del viaggio i gatti vennero sballottati a dovere, solo una volta imboccata l’autostrada ci fu un po’ di pace. Stettero ad ascoltare a lungo il rombo monotono del motore, attutito leggermente dal cartone.

“Ormai dovremmo quasi esserci.” Maxim si stava spazientendo. Il taciturno Ian era un compagno di viaggio noioso. Sollevò il coperchio dando una sbirciatina dalla fessura.

Il veicolo del corriere, appena uscito dall’autostrada, si fermò nell’area di servizio con una brusca frenata. L’autista scese e sputò per terra, quando vide quel posto desolato. Non c’era nessuno a cui appioppare il pacco.

“Fuori, presto,” ordinò Maxim. “Prima che torni.” Spintonò Ian sul fianco, si sfilò a fatica dalla scatola di cartone e poi saltò fuori dal finestrino laterale semiaperto. Ian lo seguì con le zampe tremanti.

“Da che parte?” domandò assonnato. Il dondolio regolare dell’auto l’aveva intontito.

Maxim indicò in direzione di un traboccante bidone della spazzatura. “Va’ pure avanti, io devo marcare il territorio.”

Il maine coon capì. “Okay. Io perlustro la zona mentre tu fai i tuoi bisogni.”

“Non entrare in pozze colorate e bada a dove metti le zampe. Non si sa mai, con tutto quello che striscia e serpeggia qui,” gli gridò Maxim, vedendo Ian in procinto di acquattarsi.

Che posto lugubre. In punta di zampe e ben attento, Ian procedeva attraverso la secca vegetazione marrone-grigiastra con i baffi tremanti dalla tensione. C’era una puzza tremenda, un misto di gas di fermentazione e olio esausto. A terra risplendevano pozzanghere scure. Un vento pungente gli fischiava nelle orecchie e gli parve di udire un lamento: “Noooon andaaare. Diaaaavolo tentatoooore del destiiiino.” Gli venne la pelle d’oca all’istante. Gli si rizzò il pelo. La folta coda assomigliava a una spazzola lavabottiglie. “Reeeeesta quiiiii,” si sentì sussurrare sulla collottola.

Schizzò indietro e guardò dritto nel muso Maxim, che sogghignava mentre si accingeva a imitare i fischi del vento.

“Se proprio vuoi essere pestato…” ansimò e gli sganciò un destro dritto sul naso.

Maxim non batté baffo. Da buon gatto di strada era abituato a buscarle. “Ti senti meglio ora?” domandò.

Ian preferì far finta di niente. “Va’ avanti, Maxim, tu sei sicuramente più pratico di questo posto, suppongo.” Trattenendo uno starnuto aggiunse: “Oracolo-dipendente.”

Maxim drizzò in alto la coda, si stirò i muscoli e si gonfiò. A zampa sicura passò in testa, molleggiandosi. Ai margini di uno stagno ricoperto da un rado canneto emergevano dall’acqua le sagome nere di alcuni arnesi. Sacchetti di plastica sbrindellati e vecchi bidoni nuotavano sparsi tutt’attorno. In mezzo, sull’inerte superficie dello stagno, avanzavano con infinita lentezza strie colorate. Ian le guardava incantato. Poi iniziò a sentirsi male.

“Non guardare,” lo ammonì Maxim. “Parecchi sono impazziti in questo posto, uscendo di senno per il resto dei loro giorni. Seguimi e impara dal maestro.”

Chiuse gli occhi e, con aria boriosa, cominciò a declamare:

Manta, manta, stagno, tinozza,

Singultus e Comatus nella pozza,

venite fuori a festeggiare,

non iniziate a vomitare.

“Ma che razza di sciocchezze vai blaterando?” esclamò un po’ indignato Ian. “Il prossimo verso non sarà mica ‘Altrimenti vi mando a cagare’?”

“Shhh!” lo zittì Maxim. “È il pesce a dover abboccare all’amo, mica il gatto. Mai sentito parlarne? I gemelli hanno un debole per la poesia. Non reagiscono ai normali richiami, perché li tormentano notte e giorno per predire il futuro.”

La putrida acqua cominciò a ribollire minacciosamente. A poco a poco dalla brodaglia puzzolente si sollevarono due teste colossali.

“Guarda un po’ là. Due par-cheg-gia-tori son venuti qua? Udite udite, dei per-fetti canta-storie, ma sentite!” Stando al singhiozzo, a parlare doveva essere stato Singultus.

Ian trattenne il respiro e con la zampa fece segno a Maxim, che si sporse in avanti contento. “Vedi, ha funzionato. Vi siete decisi a uscire, eh?”

“Sì! Ma sbri-ga-ti a parlare, se no ci vedrai vo-la-ti-lizzare.” Singultus mostrò minacciosamente quelle poche zanne stortissime che si ritrovava in bocca.

“Okay.” Rovistando, Maxim tirò fuori qualche stuzzichino alla menta. “Ho sentito dire che andate matti per questa roba, o sbaglio?”

Comatus si fece subito più vispo. “Che roba è?” balbettò.

“Assaggia, dai.” Maxim gliene lanciò uno dritto in bocca. Comatus inghiottì voracemente. Ma restò deluso.

“Niente di che. Non avete della droga più pesante?”

Maxim si voltò verso Ian in cerca di aiuto, e lo vide ravanarsi nelle orecchie, come colto da un forte prurito. Le rime gli erano un tantino ostiche. Sospirando, sacrificò una delle sue pasticche di anfetamine dal suo kit di prima necessità.

Comatus era entusiasta. “Pervitin, ma che bontà! Novanta droghe insieme è l’effetto che fa.”

“Insom-ma che vo-lete?” tornò alla carica Singultus, lanciando uno sguardo di rimprovero al fratello. “Sbri-ga-tevi a parlare, non abbiamo tem-po da spre-care.”

Maxim raccontò tutta la faccenda in fretta e furia, e chiese se le sue stelle erano favorevoli alla missione.

“Stop!”

Comatus iniziò a contorcersi in preda agli spasmi e a storcere gli occhi, finché non sembrarono cotti. Poi il delirio si impossessò anche di Singultus ed entrambi cantilenarono:

Al parco del castello di Bellevue dovete andare,

se dei rinforzi amici volete trovare.

Attenti a quel Cerbero però,

abita a Unter den Linden, guarda un po’.

Fin sulla sponda dell’Ade andate

quando di Tatort iniziano le puntate.

Se in ritardo giungerete,

la vita di Indy perderete.

Il gatto malaticcio gioca col fuoco,

vende cara la pelle e non è poco.

Alla fine parte il colpo temuto,

partita chiusa, tempo scaduto.

Se la fortuna ti assisterà,

una lucetta si accenderà.

Gorgogliando le ultime parole, circondati da una luce verde brillante, i gemelli si inabissarono nella brodaglia puzzolente.

“Aspettate!” gridò Maxim. “Che vuol dire che ‘il gatto malaticcio gioca col fuoco’? E chi chiude la partita? I topi? Dannazione, tornate qui!”

“Ma che vuol dire?” Ian si sfregò entrambe le orecchie, grattandosi la testa confuso. Osservava pensieroso la superficie gorgogliante. “Guarda,” indicò l’ultimo bagliore sottacqua. “È verde, hai via libera.”

Maxim miagolò piano. Sembrava scettico.

Per Ian, tuttavia, la poesiola rimata a poco a poco acquistò un senso compiuto. “Hanno detto di andare sulla sponda dell’Ade. Ovvero i bassifondi. Presta attenzione alla scelta delle parole: ‘sponda’. L’accesso quindi deve essere vicino all’acqua.” Si sorprese di come d’un tratto trovasse tutto logico. “Nel parco dietro il castello di Bellevue c’è un grande stagno. Dev’essere lì. E dove altro dovremmo incontrare Cerbero, il mastino infernale, se non alle porte degli Inferi, ossia i bassifondi? Il castello oltretutto è la sede del presidente della Repubblica federale e Indy mi aveva accennato qualcosa a proposito di certi scandali di governo. La serie poliziesca Tatort – Scena del crimine va sempre in onda di domenica alle venti e quindici. Perciò tra quarantatré minuti esatti dobbiamo essere lì.” Si alzò. “Smetti di scervellarti e datti una mossa. Magari abbiamo anche un pizzico di fortuna dalla nostra e il corriere non è ancora ripartito,” incitò Maxim, che invece era piuttosto esitante. “Sicuramente tornerà in centro.”

Il norvegese guardò il suo portafortuna e baciò la conchiglia argentata. “Andrà tutto bene...” disse titubante. Poi si strinse nelle spalle e si diede una raddrizzata. “Okay, andiamo a salvare Indy.”

I due misero il turbo. Il corriere, che stava spegnendo la sigaretta col piede, guardò nella loro direzione e sussultò. Salito velocemente in macchina, fece rombare il motore. Partì a manetta, con le ruote che sgommavano. I gatti si tuffarono al volo approfittando del finestrino posteriore aperto e sgattaiolarono di nuovo nello scatolone.